Per un ecologia dell'arte





Ou Vous Etes
reggia di versailles, versailles.
luca rossi/2012.




"“Digital as a dimension of everything" was a motto coined by the Tate in 2013. If this credo hasn't come to your local art museum, it will soon. The tension/fusion between smartphone and art will clearly be one of the dominant themes of the immediate future." (Ben Davis)






Estratti da "Il Radicante" di Nicolas Bourriaud:

"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si potrebbe chiamare un regime precario dell'estetica."

"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa nuovi significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente, perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."







La ricerca di un nuovo equilibrio capitalitistico, e quindi la crisi, convive con una fase di grande sviluppo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione. Come a dire, siamo poveri ma abbiamo tutti l'iPhone con il quale possiamo "partecipare", dire la nostra, e avere finalmente i 15 minuti di celebrità che Andy Warhol aveva profetizzato negli anni '60. Una democrazia dei contenuti in cui autore e spettatore coincidono significativamente: non a caso il selfie dimostra una coincidenza di autore, spettatore (il primo) e contenuto. Ognuno di noi diventa necessariamente: autore, poi spettatore e infine contenuto. Si realizza una massima di Cy Twombly: la gente non vuole più fare il pubblico o l'allievo, vuole entrare nella cosa, anzi sente che c'è già dentro. Il risultato è una sovrapproduzione di contenuti che, senza una sensibilità critica condivisa, diventa la maschera di un vuoto. In questa sovraproduzione ritorna fondamentale argomentare criticamente le opere, fare le differenze, evitare che tutto venga omologato sullo stesso piano. Nel mondo dell'arte, senza una critica capace e stimolata, le pubbliche relazioni diventano il modo per fare le differenze. Quando le pubbliche relazioni, come raggi tra punti, incontrano un luogo, ecco che abbiamo l'ennesimo "progetto", l'ennesima "opera d'arte". La stessa opera d'arte, esposta a Bari e poi alla Biennale di Venezia, cambia in funzione delle pubbliche relazioni e del luogo da cui l'opera è sostenuta. Per tanto l'opera d'arte non esiste, abbiamo un vuoto; anzi la materia dell'opera è fatta da luoghi e pubbliche relazioni. Solo una rinnovata sensibilità critica può far apparire nuovamente l'opera, può permettere di "vedere". Diversamente oggi "non vediamo".
Una rinnovata sensibilità critica che parta dall'opera d'arte in sé, per metterla in relazione al contesto (micro e macro) e alle intenzioni dell'autore. In questo modo l'arte può diventare una palestra dove si confrontano artisti, addetti ai lavori e pubblico, e dove esercitare un utile forma di fitness. Un allenamento per la vista, come facoltà che presiede ad ogni attività ed ambito. Potremo dire che l'arte presiede a tutto, ma spesso le persone non se ne accorgono e subiscono questa evidenza.






...plays...(place+rays)
monaco/varsavia

luca rossi 2011/2015.





Lo scoppio della bolla speculativa nel mercato dell'arte, ci costringe finalmente a guardare le opere, forse a vederle per la prima volta, e tentare di capire perchè ci interessano.

Dove sta il valore dell'arte? Delle opere d'arte? Diversamente a cosa serve l'arte? Una riflessione sul valore dell'arte non può essere oggi scollegata da una lettura semplice (non semplicistica) che si ponga in relazione alla nostra vita quotidiana. Alla nostra dimensione micro e locale. Il fitness che facciamo nella palestra dell'arte ci aiuterà poi, spesso in modo non del tutto consapevole e conscio, nella nostra vita quotidiana. L'arte diventa necessariamente una forma di religione pagana.

Con la crisi delle democrazie ci accorgiamo che l'unico "spazio politico" praticabile con efficacia sia proprio la nostra dimensione micro e quotidiana. La scelta e la decisione che ognuno di noi può prendere nella sua vita vale 10-20 volte le ricadute che una scelta di un Capo di Stato può avere su ognuno di noi. Semplicemente ci rassicura e ci fa comodo (perchè de-responsabilizza) pensare che non sia così. Concetti che non sono nuovi ma che con la crisi economica che preme e milioni di persone che aspettano interventi risolutivi dall'alto (interventi macro), diventano di stretta attualità.


Luca Rossi non solo rende l'oggetto e la materia dell'opera marginali (recentemente ha presentato una serie di opere che giocano con l'arte moderna, usando unicamente le cose del "fai da te"), ma agisce, ed invita ad agire lo spettatore, solo ed esclusivamente in questa dimensione micro e locale. Nei progetti presentati a partire dal 2009 lo spettatore si trova sempre dove si trova l'opera. Un nomadismo velocissimo e una coincidenza immobile tra autore, contenuto e spettatore. 



In particolare tutti i progetti di Luca Rossi iniziano e finiscono "dove ci si trova in questo momento". Se la flessibilità nel movimento di cose e persone ha contribuito allo stato di cirsi, il Sig. Rossi diventa ancora più fluido e flessibile, l'opera si trova sempre dove si trova lo spettatore. Si tratta di un nomadismo velocissimo ed immobile, in quanto opera e spettatore si trovano immediatamente nello stesso luogo, pur rimanendo immobili. E' il caso di uno degli ultimi interventi di Luca Rossi, siamo alla GAMeC di Bergamo: nella scena percepiamo elementi reali ed elementi che reali non sembrano, come un grande ammasso di materia al centro della stanza. Non sappiamo se questa "materia", ottenuta banalmente con un qualsiasi programma simile a photoshop, nasconda qualcosa o se non sia forse un sovraccarico formale, come se portassimo nella stanza del museo, contemporaneamente, tutte le opere passate da quel punto nella storia del museo stesso. E questo sovraccarico formale, questa abbondanza di oggetti di cui possiamo godere, corrisponde impietosamente ad un vuoto di contenuti. Cosa rimane delle centinaia di opere che troviamo per le Biennali d'arte di tutto il mondo? E delle migliaia di post su Facebook o contenuti sul web? Contenuti e opere a cui noi tutti possiamo partecipare facilmente armati di iPhone, e che possiamo replicare e condividere ulteriormente e in modo esponenziale con i nostri amici e conoscenti.






all around you
Gamec/Bergamo,2014.


Il progetto MyDuchamp, ideato da Luca Rossi ed Enrico Morsiani nel 2014, rappresenta il terzo step rispetto un percorso finalizzato alla divulgazione dell'arte contemporanea. Dopo il "Corso Pratico di Arte Contemporanea" (2010) e "Duchamp Chef" (2013), in MyDuchamp convergono le esperienze pratiche e teoriche di queste precedenti esperienze. Per usare un termine critico caro a Luca Rossi, MyDuchamp propone "ikea evoluta" consapevole. Ogni opera di questa serie "pret a porter" sembra il risultato di un bambino lasciato solo a giocare con l'arte moderna. Ogni opera contiene più riferimenti diretti alle avanguardie moderniste, in inaspettati crash di citazioni. Ogni opera viene finalizzata solo da un dialogo davanti ad essa, da intrattenere tra il pubblico e un performer. Il tema di questo dialogo sarà il valore dell'opera e dell'arte in generale, rispetto la nostra vita. Anche in questo modo Luca Rossi propone delle opere che sono come dei "cavalli di Troia" per poter agire essere stimolo ed innesco nella nostra dimensione privata e quotidiana. 



Progetto MyDuchamp (www.myduchamp.com)
luca rossi-enrico morsiani/2014. 




Quello strano caso dei monaci che non potevano esporre una teca vuota
di luca rossi








Non ho mai detto che il mio lavoro fa la differenza. Ho detto che bisogna stimolare uno spirito critico per fare le differenze tra le cose. Questo progetto in Francia vive su tre livelli:


-l'azione nell'Abbazia di Senanque (uno dei siti turistici più frequentati della Francia)


-l'opera fruibile nell'Abbazia


-la documentazione dell'azione e dell'opera.

L'azione è una sorta di candid camera, dove io stesso ho iniziato a fotografare ossessivamente una teca (apparentemente) vuota. I turisti, che venivano da un bagno di fotografie al sito turistico (l'Abbazia Cistercense di Sénanque in Francia), rimanevano interdetti; alcuni si stropicciavano gli occhi, alcuni rallentavano, alcuni hanno iniziato a fotografare anche loro. Forse pensavano ci fosse qualche reliquia. Anche il vuoto è interessante se qualcuno te lo indica. Ma in realtà dalla teca è emerso un piccolo paesaggio, che a me ricorda i giardini Zen. Ci sono tanti piccoli elementi che puoi notare solo nella terza dimensione del lavoro, e quindi nella documentazione. E quindi nella dimensione privata di ognuno di noi, da dove guardiamo il blog e le immagini. La dimensione politica dove possiamo veramente fare una rivoluzione.
Mi chiedi come può fare la differenza tra le cose questo lavoro. L'opera cerca di recuperare il senso dell'Abbazia, e quindi si contrappone al caos del turismo di massa, che stravolge totalmente il senso profondo di quel luogo. Si tratta di un "attentato positivo", che ricostruisce il senso invece di distruggere il sito turistico. I turisti sono effettivamente "attentati"...rallentano il passo, cercano di capire cosa ci sia nella teca. Questo accende in loro senso critico, che invece permane sopito nel resto della visita.
Il progetto mette in profonda discussione i rituali convenzionali del sistema dell'arte e appare improvvisamente al fianco dello spettatore.











Ho chiesto ai monaci dell'Abbazia di tenere la teca esposta in questo modo, e aggiungere una piccola didascalia che descrivesse l'opera:

Tao (la Via o il Sentiero)
teca, azione, documentazione, materiali vari.
luca rossi, 2013.

I monaci hanno risposto che non è possibile esporre nell'abbazia simboli non cristiani. In realtà la teca è vuota. Inoltre nelle foto di documentazione si può vedere la formazione spontanea, probabilmente di polvere, di un piccolo Tao. Fotografare la teca ossessivamente significa indurre a "credere" ad un vuoto, ad un'assenza. Ma non è forse la stessa religione che chiede di credere ad un vuoto e a qualcosa di invisibile? Ma il vuoto è veramente vuoto? E queste stesse domande e tutto quello che ne segue, non è forse un "pieno", un contenuto, che giustifica e dimostra che il vuoto non è mai vuoto, se siamo pronti ad una lettura analitica e al contempo immaginifica della realtà?
Questo stesso progetto francese è nato dalle possibilità di uno smartphone e dalla possibilità di comunicare tutto tramite internet. Non è servito altro. Non serve nemmeno che gli spettatori si rechino in Francia, l'opera si trova soprattutto dove ci troviamo a vedere la documentazione del progetto. La teca probabilmente c'è ancora ma nell'economia del progetto diventa come un'oggetto marginale e secondario. Il centro dell'opera d'arte è altrove.