Padiglione Italia 2015




Pre-premessa: 

Articolo apparso il 13 giugno 2013 su Artribune:


Il Padiglione Italia di oggi e di domani. 

Secondo Luca Rossi




Premessa:


Sto proponendo sulla rivista on line Artribune una ricognizione sull'arte italiana degli ultimi 20 anni. Semplicemente un punto di vista critico che passa in rassegna, uno per uno, i principali protagonisti dell'arte italiana del presente e di questi ultimi 20 anni di storia. I voti tendono ad essere bassi. Primo, perchè penso che sia una forma di prudenza nei confronti della storia e secondo perchè stiamo parlando di artisti viventi, spesso "giovani", e che quindi sono in divenire, spesso non a fuoco; sarebbe comunque poco prudente elargire con facilità sufficienze. 

Mi è sembrato molto significativo che alla vista del compenso di Germano Celant (750.000 Euro) siano subito insorti un giovane critico (Daniele Capra) e un critico senior (Demetrio Paparoni), ma quando viene messo in discussione quello che dovrebbe essere il vero patrimonio dell'arte italiana (gli artisti e le opere) nessuno sembra avere nulla da dire. Germano Celant viene criticato perchè si suppone che venga dato al lavoro di un curatore-critico eccessivo valore (attraverso un alto compenso). Si tratta di una scandalo di valore. Ma se viene messo in discussione il valore dell'arte italiana di questi ultimi 20 anni, nessuno dice niente. Mi sembra uno scandalo ben più grande. La risposta è semplice: a nessuno importa molto dell'arte e degli artisti. E inoltre nessuno sa neanche come argomentare minimamente (non si chiedono complicati e noiosi esercizi di critica accademica) il valore di un'opera d'arte. Neanche gli addetti ai lavori lo sanno fare, senza fare riferimento a stanche e banali categorie.

Perchè se un'opera d'arte non ha un valore per la nostra vita di ogni giorno, "tanto vale seppellirla" (cit.); se non riusciamo a trovare il valore dell'arte tanto vale chiudere veramente i musei. Ed infatti, spesso e volentieri, l'arte e gli artisti diventano i dispositivi per legittimare e giustificare stipendi e nomine degli addetti ai lavori che sono intorno ad arte ed artisti. Rispetto al pubblico l'arte contemporanea è un modo per l'impresa privata o l'istituzione pubblica di fare marketing, e farsi belli con una vaga idea di cultura. Potrei fare tanti esempi dall'Hangar Bicocca a Milano, dove Pirelli ottiene permessi immobiliari e rivitalizza un area attraverso un sofisticato museo di arte contemporanea, fino al programma "Enel Contemporanea" a Roma, dove il mega sponsor usa sostanzialmente l'arte per farsi pubblicità in modalità originali e sofisticate. Le file di artisti e sedicenti tali sono gonfie, quindi per uno che rifiuta ce ne sono subito altri 20 pronti a prendere il suo posto. Per tanto il ruolo di artista è debolissimo e totalmente incapace e impossibilitato ad opporsi a quella che si potrebbe definire una strumentalizzazione dell'arte contemporanea. 

Al contrario sono fermamente convinto che l'arte contemporanea (anche coma capacità di gestire l'arte del passato e ogni ambito umano) sia una grande opportunità, spesso sprecata. L'arte è come una grande palestra-laboratorio dove allenare e sperimentare modi e atteggiamenti; modi, atteggiamenti e visioni (la nuvola MAV) che hanno un valore nella misura in cui sono trasferibili nella nostra vita di ogni giorno. L'arte presiede realmente ad ogni ambito umano. Un manager, un imbianchino o un avvocato possono realmente prendere consapevolezza, e gestire al meglio la propria professione quanto la propria vita privata. Questo senza dogmi, come per esempio suggerisce di fare la religione, ma stimolando a vedere veramente le cose. Le opere, continuando la metafora, sono come ciclette e telescopi, che hanno lo scopo di aiutare l'allenamento e la sperimentazione. Questa visione utilitaristica e un po' "Testimoni di Geova" dell'arte viene rifiutata in modo perentorio da molti puristi. Ma anche loro, se avessero il coraggio di soffermarsi e mettere in discussioni alcune certezze, potrebbero capire che anche loro impostazione rimane valida. 

Spesso nel giudicare l'arte ci si fa riferimento all'emozione, alla bella estetica o alla provocazione. In realtà oltre questi primi elementi, che ci fanno simbolicamente cliccare "Mi Piace", ci sono ragioni e motivazioni argomentabili, anche se mai (fortunatamente) del tutto oggettive. Spesso la stessa argomentazione-approfondimento diventa di per sè un valore. Anche senza che il nostro interlocutore abbia finito per apprezzare l'opera d'arte che ha davanti. 

L'arte per un paese è una cosa seria, serissima, ma non seriosa. E anche per questo, con la colpevole connivenza degli addetti ai lavori, l'arte contemporanea viene ghettizzata in Italia; non se ne parla e viene ignorata. A mio parere potrebbe essere considerata un rimosso; proprio come un ambito "pericoloso" dove l'osservatore-spettatore ha la possibilità di vedere veramente le cose, fuori da categorie precostituite, controllate e rassicuranti. Paradossalmente gli addetti ai lavori preferiscono mantenere l'arte contemporanea come ambito risterro e di nicchia; infatti un pubblico vero, esteso ed adulto vorrebbe dire avere un giudizio vero, esteso ed adulto. Dal momento che il grande sponsor paga come si potrebbe pagare una cartellone pubblicitario (senza essere interessato al numero di persone che lo guarderanno), e l'istituzione pubblica paga tanto per dimostrare interesse per la cultura ma senza la pretesa del grande pubblico, l'adetto ai lavori perchè dovrebbe tentare di interessare un pubblico vasto? Rischiando oltretutto di perdere il confronto, e non riuscire a giustificare un Boetti o un Fontana? E quindi creandosi detrattori autorevoli e armati di strumenti? Molto meglio mantenere intorno all'opera un aurea di soggezione, come fosse un crocifisso intoccabile e non criticabile. Molto meglio fare laboratori per bambini, dove gli adulti possano semmai lasciare i bambini piccoli, per poter finalmente fare aperitivo con gli amici come ai tempi dell'università. Ed ecco che l'istituzione pubblica o l'azienda privata, raggiungono quasi un doppio obbiettivo: pubblicità e poi "la cultura (che è importante anche se non si capisce niente) ti fa fare anche aperitivo in santa pace". 





Progetto

Dopo tre Padiglioni Italia caotici (Beatrice-Buscaroli, Sgarbi, Pietromarchi), penso che sia necessaria una scelta ordinata e definita. Naturalmente coraggiosa. Molto semplice invitare 10-100-1000 artisti. Più difficile presentare un progetto di un singolo. Ma un singolo che potrebbe essere chiunque. Ma un singolo. 

Non ho intenzione di autoinvitarmi, ma di fare una serie di riflessioni logiche. La tecnologia e i mezzi di comunicazione permettono a chiunque di partecipare. La cosa importante è la capacità di gestire la responsabilità e l'onere della partecipazione. 

Bisogna partire dall'Italia, chiudere la porta e aprire ad un momento di decompressione. Non ha senso andare incontro all'Altro o aprirsi ad una retorica globale, senza stare bene. Non si esce di casa e non si va a lavorare se si ha l'influenza. Inoltre in Italia c'è un problema generazionale. Per questi motivi vorrei chiudere il Padiglione Italia 2015 a TUTTI e far entrare solo gli italiani che hanno meno di 45 anni. Questa mi sembra una premessa logica. Se pensiamo che lo "spettatore che entra" non sia qualcuno in cerca di non si sa bene cosa (emozioni, prossimi investimenti, godimenti estetici, provocazioni, ecc ecc). Cosa sembra cercare lo spettatore che entra in una mostra? Me lo sono sempre chiesto. Chi entra in questo Padiglione non deve partecipare/interagire, ma deve sentire la responsabilità-onere della partecipazione. Dopo aver chiuso le porte, penso che il punto non sia "COSA FACCIAMO", ma "COSA VUOL DIRE FARE?". "Perchè un'opera?". "Perchè operare può avere valore?". "Perchè "non operare" può avere valore?". Ecc.

La Democrazia Cristiana e il malaffare hanno sempre pensato a "politiche di breve": "prendi i voti oggi senza pensare ai giovani di domani", "prendi i soldi e scappa". Non credo che le giovani generazioni siano migliori, ma un rinascimento deve partire/non partire da loro, e da dentro l'Italia. La soluzione non è trasferirsi all'estero, dalle proprie radici l'albero o il frutto non possono scappare. 

Il titolo potrebbe essere Rinascimento. Semmai "Rinascimento 15". Vorrei eliminare subito la disillusione, il pessimismo e un certo cinismo. 

Inoltre il Padiglione non parlerà inglese, tutto sarà ovviamente in Italiano. Ripeto. Ogni apertura esterna non ha senso, fino a quando non ci siamo guardati dentro. Si potrebbero fare dei danni, come spesso succede. 

Sicuramente il Padiglione deve esistere nelle case e "dove" si trovano gli spettatori, il Padiglione Italia a Venezia deve essere solo un punto di riferimento. Quindi partirà prima del maggio 2015 e continuerà dopo, senza coordinate spaziali definite; visto che sarà potenzialmente ovunque. Ma questo non per essere "innovativi", ma perchè si tratta di una dinamica che già avviene senza consapevolezza; e quindi si finisce per subire tale dinamica. Per ora questa è l'impostazione, vedremo.

CONTINUA...