come se non ci fossero le porte





Il popolo ebraico quando fu costretto ad abbandonare la propria terra, passo dall'idea di monumento, installazione permanente, costruito, all'idea di documento. In altre parole non poteva portare in giro la statua di Dio o del suo Garibaldi; fu costretto a decodificare Dio, a decodificare la propria cultura per rendere trasportabile e adattabile ad una nuova terra. 

Il commento di Luca Rossi, fino al progetto vero e proprio, rappresenta - a posteriori - questo passaggio dal monumento al documento. La visione-fruzione di un documento equivale a vedere la mostra che in questo modo è, prima di tutto, installata nella nostra "dimensione privata". Nel silenzio della tusa casa, in metropolitana o nell'hotel a Tokyo in cui ti trovi. Questa scelta di Luca Rossi non rappresenta un motivo di "novità" o "innovazione", quanto di consapevolezza rispetto una natura delle cose che vive una continua fibrillazione tra immaginazione, esperienza diretta, oggetti ed esperienza mediata. 

Il blog whitehouse di Luca Rossi nasce nel 2009. Dopo 19 anni in cui la figura del curatore aveva progressivamente sostituito il critico d'arte. Quindi oggi dopo 30 anni non troviamo le ragioni e le motivazioni delle opere contemporanee. Ecco perchè in fiere e biennali ritroviamo i valori del secolo scorso e i giovani artisti si limitano a elaborare il secolo scorso per essere accettati da un paese e un collezionismo per vecchi. 

Se guardiamo progetti di successo come Facebook, Apple, Amazon e Google intuiamo un disinteresse per il contenuto, per la nostra opera d'arte. Per esempio a Google non interesse cosa cerchiamo ma interessa creare un sistema affinchè ognuno di noi possa trovare il contenuto che ci serve. Un bellezza, un'opera d'arte, destinata a durare un click. 

Questo perchè non ha senso competere con la personalizzazione del contenuto. Nel selfie, per esempio, troviamo una fusione significativa di contenuto, spettatore e autore. Un contenuto talmente personalizzato da vedere in esso la fusione del suo autore che è anche spettatore. Per una grande azienda non ha senso competere con un contenuto così forte, potremo dire invincibile. 

Negli ultimi anni musei e gallerie sembrano infatti dei fortini che devono difendere le opere da questi contenuti imbattibili. 

In epoca moderna (Van Gogh- 1973) si cercava nell'arte l'innovazione e la novità; nel postmoderno, che nasce con la prima crisi petrolifera, un remix originale che potesse rispondere meglio ad un mondo che non poteva crescere in modo infinito. Nel 2001, dopo l'evento simbolo dell'11 settembre, si capisce che "tutto era stato fatto" e intorno al 2009 che tutti possono fare tutto e condividerlo con tutti. Un' epoca dove chiunque, tramite i social, può esprimere opinioni su tutto. Ma queste mille opinioni invece di aumentare il confronto critico lo azzerano, come se in una stanza parlassero contemporaneamente 1000 persone, non si capirebbe nulla. 

Se ci pensate non abbiamo bisogno di esprimerci, lo facciamo fin troppo. Abbiamo bisogno di momenti di solitudine e silenzio per dire finalmente qualcosa di vero. Ma come afferrare questa idea di verità, giustizia e bellezza, come trovare la nostra opera d'arte? 

La fase in cui stiamo entrando si potrebbe chiamare altermoderna dalla definizione che Nicolas Bourriaud ne da nel libro Il Radicante. Il principio dell'altermoderno non è la novità o il remix originale ma una consapevolezza critica. 

Ecco allora che la nostra opera d'arte, il nostro capolavoro, non sta più nell'ennesimo contenuto, ma in un sistema virtuoso per ordinare i contenuti. In altre parole c'è oggi più arte nella critica d'arte che in quelle che chiamiamo opere d'arte. Questo non significa abbandonare l'oggetto, l'opera d'arte convenzionale, ma riscoprirla. Per esempio rendendosi conto che in un pezzo di polistirolo, che si trovava dentro un pacco di Amazon, c'è tutta la storia dell'arte del Novecento. Quindi c'è molto più valore nell'imballaggio che stavamo buttando via che nel contenuto, così desiderato, del medesimo pacco di Amazon. 

Consapevolezza critica, critica d'arte, significa allenare gli occhi. Trovare nuovi occhi per guardare il mondo. Cambiare concretamente il mondo. Attenzione perchè i progetti di Luca Rossi si mostrano e dimostrano. Dimostrano che ognuno di noi, come avviene già in modo rozzo e brutale, può diventare un piccolo Michelangelo, Luca Rossi appunto, in cui si fondono e confondono tutti i ruoli del sistema dell'arte. Questa dinamica è evidente in progetti come Thermal Refuge o Senanque Abbey. 

Nel 2009 è stato naturale per Luca Rossi cercare di stimolare confronto critico unico modo per diventare meno rozzi nell'uso dello smartphone ed allenare se stessi e gli altri ad avere nuovi occhi. Chiunque può essere "Luca Rossi" e in Luca Rossi si fondono e si confondono tutti i ruoli del sistema. L'unico modo per disinnescare la pretesa di ognuno di noi di sapere tutto e fare tutto. 

Da questa riflessione critica quotidiana è disceso un linguaggio, un alfabeto specifico. Seguendo la via altermodena i progetti di Luca Rossi affrontano altri nodi fondamentali della contemporaneità: l'esperienza/non esperienza, la dittatura del "mi piace", lo spazio politico rimasto, e molti altri. 

Per quanto il teatrino della politica cerchi di dimostrare il contrario per legittimare la propria esistenza, se guardiamo alle politiche degli stati moderni negli ultimi anni, vediamo che esiste una sola politica realizzabile. Come una coperta troppo corta che possiamo decidere se far coprire la testa o i piedi. Ma la sostanza sul lungo periodo non cambia. In questo senso le politiche degli stati moderni sono politiche di galleggiamento che non possono realizzare alcun cambiamento. L'unico spazio politico rimasto, dove la scelta di ognuno di noi vale 10-20 volte quella di un Capo di Stato, è la nostra dimensione privata. Proprio il luogo dove troviamo primariamente installate le opere di Luca Rossi.