Pasqua

a cura di 
Luca Rossi
Villa Panza (Varese)
20 Aprile 2014



10 settembre 2001
(installation view)

Galleria Zero, Milano (2014). 












Articoli pubblicati su Flash Art Italia



Terzo Dialogo con Roberto Ago


















    
Noi non cesseremo l’esplorazione
E la fine di tutte le nostre ricerche
Sarà di giungere là dove siamo partiti,
E conoscere quel luogo per la prima volta.

T.S. Eliot – Quattro quartetti



Cy Twombly : (silenzio)
“La gente non vuole più fare il pubblico, né l'allievo, 
vuole entrare nella cosa, ossia sente che c'è già dentro.”






Ora che i 15 minuti di celebrità ce li hanno tutti? Ora che tutti possono partecipare? Ecco che arriva il curatore, che come il Sacerdote del Tempio, mette ordine, elargisce pubbliche relazioni e dice quello che va bene e quello che non va bene. Quello che ha valore e quello che non è interessante. Questo senza alcuna argomentazione critica. In una grande mostra non c'è certo il tempo per parlare di ogni opera, mettendola in relazione a quelle opere che non sono state selezionate. Il blog può creare questo Tempo di riflessione e decompressione. Per argomentare le ragioni delle opere-crocifisso del Tempio. A volte serve buttare giù il Tempio per testare la forza del Culto. 

La critica non paga, la gente non vuole più fare il pubblico o l'allievo, vuole entrare nella cosa, ossia sente che c'è già dentro.

Qualche anno fà in una corrispondenza privata con Massimiliano Gioni, riguardo la sovraproduzione di artisti e opere, lui mi scrisse che è sempre stato così. A mio parere questa tendenza ha dato un ultimo colpo di coda negli anni 90, e poi le cose sono cambiate dopo la data simbolo del 2001. Naturalmente il pubblico assiste bovino, mentre gli esperti fanno finta di niente e si reiterano sistematicamente le medesime opere e le medesime mostre, anche sul piano internazionale.

Dopo il 2001, mai come adesso, la sovraproduzione di artisti e opere ha richiesto la figura del curatore come ordinatore che dovesse dare significato al caos e alla sovraproduzione. Ma non esistono tempi e luoghi per argomentare queste selezioni, per argomentare le differenze; anche perchè non esistono differenze ma declinazioni e sfumature del medesimo standard. Per questo il curatore diventa un regista che seleziona e affianca le opere secondo le necessità del suo "film-mostra", che a differenza di un film NON E' un'opera unitaria. Dall'altro lato gli artisti sono e propongono standard interscambiabili. Il risultato è un vuoto. Nel senso che nessuno propone un'opera unitaria, l'opera non è più al centro. Il punto dove cade il sasso è lontano, e in galleria come nel museo, si attendono semplicemente pizze come onde di rifrazione. 


Le file di artisti similari sono gonfie, e tutti sanno di poter essere sostituiti. Quindi l'artista è debole e condizionato da quelle che sono le necessità del curatore; come operai non specializzati che in fila aspettano di essere chiamati a lavorare nella fabbrica. Naturalmente sono le amicizie e le pubbliche relazioni che fanno le differenze tra le opere. L'opera deve essere solo uno standard. E quindi un vuoto che esiste in ragione di luoghi (place) e pubbliche relazioni (rays). Solo il tentativo e lo stimolo di una critica argomentata può rimettere le opere al centro e farle apparire, nel vero senso della parola,  per quello che sono. 







Him plays (la misura di tutte le cose)

a meter, a walkie-tolkie, polyester resin, polyurethane, rubber, leather, human hair, paint, fabric, information, sunlight.
New York/Warsaw, 2014.




Ma abbiamo detto che la gente vuole partecipare, anzi può partecipare in qualsiasi momento. Vuole entrare nella cosa, nella mostra e nell'opera. Anzi, la gente sente che c'è già dentro. Maneggiare uno smartphone di ultima generazione significa provare questa brezza, senza che questo ci debba provocare chissà quale emozione o sorpresa. Il curatore deve difendere anche da questo, perchè se la gente riesce veramente ad entrare dentro le opere, aumenterebbe ancora di più la confusione; le opere, come dispositivi retorici che legittimano gli addetti ai lavori, verrebbero minate dall'interno, e si rischierebbe di perdere tutto. Perchè le opere sono di dispositivi che legittimano gli stessi esperti/addetti ai lavori.

Aspettare che la gente arrivi al museo o alla biennale in cerca di non si sa bene cosa, non è più una buona strategia. Bisogna giocare in contropiede e tirare la palla al centro delle dimensione locale, micro e quotidiana della gente. Bisognare fare come il salmone che risale la corrente; se internet è un flusso di informazioni che dal nostro privato ci trasporta all'evento, bisogna partire dall'evento e arrivare al privato della gente. Ma senza avere un comportamento prevedibile, il salmone deve anche sapersi far trasportare dalla corrente e poi risalire il fiume.

Negli ultimi mesi tre eventi possono essere considerati tre diversi comportamenti del salmone: il progetto alla GAMeC è il salmone che risale la corrente fino alla fonte; il progetto a Gordes in Francia (Scroll down) rappresenta il salmone che si ferma, e impone un blocco al flusso, influenzando la corrente verso la fonte e verso la foce; mentre con "Another New Show" il salmone si lascia trasportare verso la foce. Proprio perchè il punto non è l'innovazione o l'azione originale, ma la consapevolezza di come uno sguardo micro e locale diverso sia l'unico passo per una rivoluzione o un cambiamento consapevoli.

La mostra "10 settembre 2011" presentata il 12 aprile presso la galleria Zero di Milano è avvenuta come una sorta di attentato, improvvisamente. Anche per il gallerista stesso. La mostra con 7 interventi riassume, e rinnova il percorso fatto in questi 5 anni.