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materiali vari, polvere, macchie, uno schermo, terra, grafite.
2014

Museo GAMeC di Bergamo.

















Luca Rossi il radicante (di Eve Rand)



Leggi anche "L'ecologia dell'arte del Sig. Rossi"
--> work in progress (Gamec, Bergamo)



"E' quanto sta avvenendo in quest'inizio di XXI secolo, in cui predominano in tutti i campi del pensiero e della creazione il transitorio, la velocità e la fragilità, instaurando quello che si potrebbe chiamare un regime precario dell'estetica."

"Invece che subirla o resistervi per inerzia, il capitalismo globale sembra aver fatto propri i flussi, la velocità, il nomadismo? Allora dobbiamo essere ancora più mobili. Non farci costringere, obbligare, e forzare a salutare la stagnazione come un ideale. L'immaginario mondiale è dominato dalla flessibilità? Inventiamo per essa nuovi significati, inoculiamo la lunga durata e l'estrema lentezza al cuore della velocità piuttosto che opporle posture rigide e nostalgiche. La forza di questo stile di pensiero emergente risiede in protocolli di messa in cammino: si tratta di elaborare un pensiero nomade che si organizzi in termini di circuiti e sperimentazioni, e non di installazione permanente, perennizzazione, costruito. Alla precarizzazione dell'esperienza opponiamo un pensiero risolutamente precario che si inserisca e si inoculi nelle stesse reti che ci soffocano."


Nicolas Bourriaud 
Il radicante (2014)






Risolutamente precario. Luca Rossi oppone alla precarizzazione dell'esperienza un pensiero risolutamente precario che si inserisce e si inocula nelle stesse reti che ci soffocano. Un'ecologia dell'arte. Un regime precario dell'estetica. Nel suo lavoro c'è massima mobilità (l'opera è sempre ed ovunque) e allo stesso tempo massima immobilità (spettatore e autore possono rimanere immobili dove si trovano). Fin dal 2009 ogni progetto di Luca Rossi (abuso volutamente della parola "progetto") vive certamente su più livelli ma finisce sempre e per un tempo indefinito, nella dimensione micro, locale e quotidiana dello spettatore. La mostra non è più un rito collettivo, pubblico e condiviso, ma un'esperienza privata che ha come luogo deputato il luogo in cui ci troviamo. Questo luogo infatti è per Luca Rossi l'unico spazio politico rimasto, dove poter prendere consapevolezza e valutare eventualmente la propria rivoluzione. Ogni scelta che l'individuo prende consapevolmente per la propria vita vale 10,20,30 volte le scelte macro e globali che possono prendere il Presidente degli Stati Uniti o pochi finanzieri internazionali. Semplicemente ci rassicura pensare "piove governo ladro", quando la cosa più efficace sarebbe "aprire l'ombrello". Ma come aprire l'ombrello? Ecco che l'arte sembra scivolare nuovamente in una sorta di religione pagana: in realtà l'impostazione critica di Luca Rossi e il suo contributo ad un progetto di education e divulgazione, sono semplicemente un punto di vista, che non vuole "educare" e "dire cosa bisogna fare per essere felici", ma creare le condizioni per "apprezzare". E quindi vedere diversamente il proprio quotidiano come unico spazio politico, come unico parlamento su cui poter agire.Munari diceva: saper vedere per saper progettare.

In una situazione in cui regna sovrapproduzione di contenuti e di progetti, incapacità di differenziarli e la fluidità dei flussi commerciali e informativi, l'esperienza della realtà viene necessariamente messa in discussione. La scelta "risoluta" consiste nel porgere l'altra guancia, e assecondare la fluidità, la flessibilità e la precarietà.

Dal 2009 ad oggi sono stati presentati sul blog Whitehouse, decine e decine di progetti. Molti si sono persi, altri si sono rinnovati, altri ancora vengono richiamati spesso. Il problema non può più essere la partecipazione, ma la responsabilità di questa partecipazione. Dal momento che tutti, armati di smartphone, possiamo partecipare, ed essere fruitori e creatori di contenuti. Non ci sono più scuse di accesso o reali barriere all'entrata.

L'opera che vediamo in una stanza del Museo Gamec di Bergamo, potrebbe essere considerata una sorta di buco nero che ha risucchiato tutto il processo che va dall'accensione delle luci nello studio dell'artista fino all'ultimo spettatore che esce dal museo. Infatti la dimensione in cui l'autore agisce immobile (a parte alcuni progetti che nascono da blitz spontanei) è la stessa in cui si trova lo spettatore, ed è la stessa in cui lo spettatore stesso inizia e finisce la sua fruizione. Questa modalità di fruizione, basata su una continua coincidenza di luogo, sembra spostare un paradigma e ridefinire la calssica modalità di intrattenimento. L'arte contemporanea non può più porsi  in competizione con forme di intrattenimento ben più efficaci, anche se ampiamente abusate.

Fluidità e precarietà vengono risolte dal loro essere esorbitate. L'opera avviene potenzialmente ovunque, tanto che nei materiali dell'opera vengono ricondotte anche polvere e macchie che si trovano sul nostro schermo. Il progetto avviene a budget zero e con lo spreco minimo di risorse, ancora una volta come risposta ad una crisi generalizzata. Ma una crisi che è soprattutto negli occhi e nella mente di chi la guarda. La crisi infatti è data soprattutto dall'incapacità di uscire da uno schema che deve necessariamente cambiare perchè non funziona più.

Il nomadismo di Luca Rossi implica che l'opera si trovi ovunque e per un tempo indefinito. Per tanto opera e spettatore sono sempre velocissimi, ma allo stesso tempo immobili. Sono velocissimi perchè spettatore e opera possono essere ovunque e in qualsiasi momento. Sono immobili perchè tutto avviene da fermi e con uno spreco pressoché nullo di energia.

Allo stesso tempo siamo davanti ad una fragilità dell'opera: esperienza su più livelli, distanza-vicinanza, esperienza diretta-indiretta, materialità-immaterialità, fruizione privata e solitaria, esperienza istantantanea con un grado minimo di intrattenimento. Inoltre un black-out potrebbe far sparire tutto. Alla crisi e alla precarietà vengono opposti progetti a budget zero, che travalicano e attraversano potenzialmente qualsiasi luogo.

La documentazione è significativa rispetto alla precarizzazione dell'esperienza che stiamo vivendo. Pensate a chi continua a riprendere il figlio nella recita scolastica, perdendo l'esperienza diretta e totale della recita del figlio. Luca Rossi estremizza questo aspetto, arrivando a disinnescarlo. O quanto meno a renderlo del tutto consapevole.

L'alfabeto di Luca Rossi si è composto lentamente quasi come conseguenza logica del suo estenuante, pedante ed ossessivo lavoro critico. Quando poi ci siamo accorti che nella platea del cinema ci sono solo registi, attori, sceneggiatori, ecc., e quindi solo addetti ai lavori, è diventano ugualmente spontaneo pensare all'education. Ma non il desiderio di educare e dire al pubblico cosa apprezzare, ma il desiderio di creare le condizioni che permettano al pubblico di "apprezzare". E quindi allargare il pubblico dell'arte contemporanea.

Eve Rand













Lo Stato dell'Arte (di Luca Rossi)


Quale valore oggi per l'ARTE? La scena italiana dell'arte contemporanea è ridotta ad un lumicino. A cosa serve l'arte contemporanea? L'opera ha un valore e un prezzo. Da cosa dipende questo valore? Oggi il valore deve in qualche modo essere in relazione con la vita e la quotidianità delle persone. Se l'arte non possiede questo valore meglio seppellire l'arte. E scivoliamo subito in una forma di religione pagana: se ci pensate le opere nel museo sembrano crocifissi nelle chiese. Intorno all'opera c'è un clima di omertà, nessuno sa e vuole argomentare. Non si va mai oltre un generico MI PIACE. O al limite mi da emozione. Altri dicono questa opera FUNZIONA (????) o questa opera è INTERESSANTE (????). Gli artisti d'altronde sono permalosissimi. Ed ecco che servono CURATORS, come sacerdoti, che selezionano e caricano automaticamente di valore le opere/crocifisso. In fondo nel caos e nella sovraproduzione in cui viviamo (il selfie dimostra che tutti possiamo essere artisti, spettatori fino ad essere il contenuto dell'opera) serve qualcuno che possa ORDINARE LE COSE: i curatori. Ed ecco il problema: il curatore selezione e affianca, ma non argomenta mai le differenze tra le OPERE che SELEZIONA e QUELLE che NON SELEZIONA. Sarebbe bello che Massimiliano Gioni facesse una mostra con due stanze: in una le opere che ha selezionato e nella seconda quelle che non avrebbe mai selezionato in vita sua prima di questa mostra (e qui Pino Boresta non potrebbe mancare). All'arte non serve novità e innovazione (soprattutto dopo le provocazioni anni 90 culminate simbolicamente nell'11 settembre) ma CONSAPEVOLEZZA. La consapevolezza è la novità. E quindi la capacità di argomentare le differenze tra le cose che vediamo, senza mai arrivare necessariamente a noiosi dati oggettivi. L'arte per questo è una palestra e un laboratorio dove sperimentare e allenare, proprio per raggiungere questa consapevolezza. In questa palestra-laboratorio si allenano modi atteggiamenti sensibilità e visioni delle cose. Spesso si sente dire NON CAPISCO QUESTA OPERA D'ARTE, dando per scontato di capire tutto il resto. E se fosse il contrario? Se il fatto di non capire l'opera fosse una spia luminosa che ci avvisa che forse non stiamo capendo tutto il resto? Munari diceva "saper vedere per saper progettare". Se per progetto intendiamo tutte le cose della vita, saper vedere diventa fondamentale, e si potrebbe dire che l'arte presiede a tutto. In quanto la vista e poi un ragionamento, presiedono a tutto. Ed ecco il valore dell'arte. Nello spazio dell'arte si sperimentano e si allenano modi, atteggiamenti, sensibilità e visioni attraverso loro testimoni che sono le opere. Per tanto il valore non sta nell'opera, ma nella nuova MAVS da cui precipita (nuvola di modi atteggiamenti visioni sensibilità). Nell'opera ci sta il prezzo in quanto testimone di valore. Compriamo l'IPhone come testimone di valore: come strumento che può aumentare il valore della nostra vita. Ma il vero valore dell'IPhone sta nella filosofia e nella tecnica da cui precipita. L'oggetto iPhone è solo un testimone di filosofia e tecnica.  Ma come determinare il valore di questa nuvola? Bisogna partire dall'opera in sè, e metterla in relazione al contesto (locale e globale) e alle intenzioni dell'artista (titolo, materiali, altre opere, dichiarazioni, biografica, ecc. ecc.). Ma questa cosa si potrebbe fare per tutto, per una casa, per l'IPhone o per un'opera di bene in africa. La radice del problema è trovare luoghi e persone che sappiamo argomentare l'opera. Il pubblico è distante e disinteressato, e si tende ad attirarlo con proposte pop ed elementari che si pongono in una competizione (persa in partenza) con altre forme di intrattenimento.