Volete la quarta e ultima puntata? Prima vi chiedo di arrivare in fondo a questo articolo.



Prima della quarta e ultima puntata sulla ricognizione dell’arte italiana degli ultimi 20 anni, vorrei proporre un momento di riflessione e decompressione. Considero questa ricognizione sull’arte, prima di tutto, come fosse un atto d’amore, ma mi rendo conto che all’esterno questo mio proposito possa non essere capito. Dopo le prime tre puntate ho ricevuto tante reazioni discordanti. Le reazioni negative mi vedono come frustrato, spocchioso, cretino, megalomane o come colui che pretende di essere superiore agli altri. Non è così. E’ ovvio che se mettiamo un grillo in una stanza vuota, questo grillo produce un gran rumore; se la stanza fosse “piena” ed esistesse un sistema critico vitale che non fosse solo impegnato a compiacere tutto e tutti, la mia azione sarebbe molto più digeribile. E sarebbe presa per quello che è: un giudizio critico soggettivo, argomentato e opinabile. La tendenza a voti bassi e giudizi “severi” dipende prima di tutto da una forma di prudenza e rispetto per la storia dell’arte; inoltre stiamo parlando di artisti giovani e mid-career, e quindi di percorsi aperti e in divenire, per i quali sarebbe imprudente avere una certa leggerezza di giudizio. 

Ho trovato molto significativo che alla vista del compenso di Germano Celant (750.000 Euro) per una mostra dell’Expo 2015, siano subito insorti un giovane critico (Daniele Capra) e un critico senior (Demetrio Paparoni), ma quando viene messo in discussione quello che dovrebbe essere il vero patrimonio dell'arte italiana (gli artisti e le opere) nessuno sembra avere nulla da dire. Le uniche reazioni sono insulti e facili ironie che vorrebbero screditare colui che critica, invece di entrare sul merito dell’oggetto criticato. Il compenso di Germano Celant è stato criticato perchè alcuni pensano che si sia dato eccessivo valore (attraverso un alto compenso) al lavoro del critico. Si tratta di uno scandalo di valore. Mettere in discussione il valore dell’arte italiana degli ultimi 20 anni, evidentemente, non è considerato uno scandalo di valore. Le ragioni possono essere due: o non viene dato credito alle critiche perchè non viene dato credito al critico, o, in seconda ipotesi, a nessuno importa veramente delle opere e degli artisti italiani. Sul primo punto credo che la forza della mia critica non stia nel mio nome (abbastanza stupido e generico) ma in quello che cerco di argomentare. Anche considerando la mia critica totalmente infondata, bisogna necessariamente prenderne atto. Soprattutto se una rivista di settore decide di scriverne, e ,prima di lei, diversi operatori autorevoli hanno avuto modo di appoggiare e lodare il mio lavoro. La mia ricognizione non vuole essere la Bibbia dell’arte italiana, bensì stimolare un confronto critico vitale, dove più voci possano essere in grado di riscoprire ragioni e motivazioni dell’arte. Ovviamente solo nel caso in cui queste motivazioni dovessero ancora esistere in quella che chiamiamo “arte contemporanea”.

 La mia azione è utile nella misura in cui provoca reazioni o “non reazioni”. Infatti penso che l’aspetto più interessante sia la “non reazione” davanti alla messa in discussione del patrimonio e del valore dell’arte italiana degli ultimi 20 anni. Questa “non reazione” avviene perchè a poche persone importa veramente dell’arte e degli artisti. E poche persone, oggi in Italia, ritengono che nell’arte, negli artisti e nelle loro opere ci sia realmente un Valore. Quindi mettere in discussione un valore che non esiste, equivale a non fare nulla. In fondo le file di artisti, e sedicenti tali, sono gonfie e trovare un’opera che equivalga ad un’altra opera, è diventato veramente facilissimo. La crisi e l’omologazione dell’arte contemporanea non riguardano solo l’Italia, ma investono tutto il sistema internazionale. Una crisi che gli addetti ai lavori  preferiscono non vedere, perchè sanno che opere e artisti sono “dispositivi retorici” che giustificano e legittimano mostre, premi, biennali e musei, e quindi in definitiva i loro stipendi e compensi. Una crisi in cui le vere vittime rischiano di essere gli artisti, totalmente in balia delle pubbliche relazioni e dei cambiamenti del vento.  Ma gli artisti sono anche gli unici che potrebbero reagire a questa situazione desertica, dove sembrano smarrite le ragioni dell’arte al di là dell’investimento piccolo borghese, della scusa per fare aperitivo, o della retorica buonista insita nell’ennesimo spazio “no profit” (dove fare anche qui aperitivo). Da cinque anni gestisco gratuitamente e quotidianamento un blog, perchè sono convinto che l’arte e l’arte contemporanea possano avere un enorme valore per la vita e il futuro di ognuno di noi. Per tanto esorto coloro che sono stati criticati o che si sono sentiti, seppur indirettamente, criticati, a prendere questa mia ricognizione come uno stimolo positivo e costruttivo, finalizzato a rinforzare e migliorare il lavoro di ognuno di noi, anche rispetto la scena internazionale.

Luca Rossi